Cookie Consent by Free Privacy Policy website RUNO LAGOMARSINO 'West is everywhere you look', la prima personale alla Galleria Francesca Minini
aprile 11, 2016 - Francesca Minini

RUNO LAGOMARSINO 'West is everywhere you look', la prima personale alla Galleria Francesca Minini

“Il lavoro di #runolagomarsino (Lund, Svezia 1977, vive e lavora a San Paolo, Brasile e Malmö, Svezia) è una ricerca finalizzata a indagare i modelli storiografici, geografici e matematici che hanno informato il controllo coloniale del mondo da parte della modernità occidentale. Come si articola il rapporto tra l’invenzione della descrizione storico-geografica del pianeta ad opera della ragione europea e il dominio politico di esso? Le ricerche di Lagomarsino provano a rispondere a tale quesito muovendo da una prospettiva di analisi culturale comparata, suggerendo la possibilità di nuove forme di interpretazione culturale, alternative e oppositive rispetto a quelle sancite e trasmesse dalla ragione moderna europea. “ 

Con queste parole di Luigi Fassi si introduce la figura di #runolagomarsino in occasione della la sua prima personale da #francescaminini. Il progetto dell’artista si apre con un segnale/cartello, Deportation regime che esplicita subito il climax dell’intera #mostra. Il riferimento ad Agamben e la sua nozione di sovranità del potere è per l’artista fondamentale, e allo stesso modo come tale potere sia in grado di far ripensare le nostre categorie politiche. L’homo sacer nel diritto romano arcaico era colui che aveva la libertà di uccidere senza essere accusato di omicidio e quindi non essere condannato a morte. Questa figura del diritto ha fatto sì che possa esistere una vita uccidibile da una parte e una vita sacra e insacrificabile dall’altra. Da allora la vita è diventata qualcosa che appartiene alla politica, una posta in gioco; possiamo allora parlare di biopolitica. Seguendo il filo rosso della storia, percorrendo con Agamben il suo testo Homo Sacer, si possono cercare di decifrare gli enigmi posti dalle opere di Lagomarsino e affrontare i totalitarismi e le nefandezze - prima di tutto il fascismo e il nazismo - che lo scorso secolo ha proposto alla storia. Quello che il filosofo italiano ha descritto e definito nel campo di concentramento, ossia il paradigma biopolitico nascosto della modernità - in cui città e casa sono diventate indiscernibili -, e la possibilità di distinguere tra il nostro corpo biologico e il nostro corpo politico ci è stato tolto una volta per tutte. 

Oggi, senza eccedere, possiamo vederlo in un ambito, non follemente sistematizzato come erano allora i lager ma altrettanto crudele, in ciò che sta accadendo nel Mediterraneo. Le mappe appese, della seconda sala, fluttuanti, sottosopra rispetto alla convenzionale lettura che ne possiamo fare, quasi una meccanica scenografia barocca ribaltata, ci mettono nell’impossibilità di stabilire dei confini, di leggere una carta come convenzione spazio/territoriale e anche spazio/temporale. Il titolo della #mostra nasce proprio da questo lavoro. L’Occidente è ovunque guardi, West is everywhere you look. 

Il Mar Mediterraneo non cessa e non ha mai cessato di essere il crocevia di mille accadimenti. Spazio da declinare al plurale all’interno di un’identità europea e mediterranea per sua natura molteplice. Non è possibile concepire sul piano sincronico e diacronico la realtà geopolitica come entità bloccata e univocamente fissata. Tali cambiamenti e mutazioni hanno generato nei secoli scorsi conflitti interni a tutte le culture mediterranee che tuttora influenzano e determinano il rapporto tra le genti. Il linguaggio, la parola scritta come convenzione, come strumento di interazione e pacificazione, da sempre convive con le culture del Mare Nostrum, titolo di un’altra opera in #mostra. La pluralità delle genti e la pluralità delle culture era normale fin dal basso medioevo. In Sicilia gli ebrei usavano l’arabo come lingua corrente, oltre al siciliano, e destinavano l’ebraico solo alla lettura dei testi sacri; in seguito tale sincretismo è stato smarrito per assecondare conflitti e persecuzioni. Mare Nostrum vuol dire allora anche memorie non riconciliate, significa anche paura reciproca che risale a più di 500 anni fa che ha subito tentativi di pacificazione del tutto di natura politica e raramente culturale. Tale timore è anche sugellato però da grande curiosità reciproca, da volontaria e necessaria ricerca di condivisione. Parlando di Mediterraneo come non pensare allora a Braudel e alla sua idea di mediterraneo come luogo della prossimità, concetto questo che ha incrementato anche l’idea di un luogo sempre più piccolo, una vera zona di confine tra due mondi, oggi molteplici mondi. Dai Balcani all’Asia Minore, dalla Penisola Iberica all’Africa del Nord, il mare nostrum costituisce da sempre un confine che allo stesso tempo è ostacolo e legame tra le parti. Clima, natura, cibo, modi di vivere, religioni cambiano, si mescolano e si ricompongono, a seconda che si trovino a Nord o a Sud del mare. Una vera e propria sintassi mediterranea, articolata grazie ad una grammatica interna, con la quale possiamo vedere, sentire, ascoltare questo mare. Ecco che le ottanta immagini costruite da Lagomarsino vanno a definire un racconto del nostro mare; una sequenza di diapositive ci permette di leggere un’interezza che lentamente si dissolve lasciando spazio ad un buco che risucchia il Mediterraneo facendolo scomparire definitivamente. Con esso scomparirebbe anche la millenaria civiltà che ha definito e costruito il progredire del mondo e della razza umana. 

Alberto Salvadori 


RUNO LAGOMARSINO 

West is everywhere you look 

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