Cookie Consent by Free Privacy Policy website FRANCESCO SIMETI con 'Armed, Barbed and Halberd-Shaped' alla Galleria Francesca Minini
maggio 14, 2016 - Francesca Minini

FRANCESCO SIMETI con 'Armed, Barbed and Halberd-Shaped' alla Galleria Francesca Minini

Artemisia, stramonio, sorghetta e papavero. Avanti popolo delle erbacce, proletariato del mondo vegetale, rovesciate il trono delle specie orticolturali più raffinate, decapitate gli ibridi ipercivilizzati. Partite lancia in resta e destituite la rosa, regina del giardino. Sono con voi i Romantici e i poeti, Emerson e Thoreau. Già canta Gerard Hopkins, “vivano sempre le erbe, le selve selvagge!” Ma ecco che pronta giunge la mano del giardiniere—creatore, guardiano e giudice dei paesaggi artificiali—e subito la rivolta è sedata. Un colpo di vanga alla radice e gli infestanti sono estirpati. Ogni giardino affidato alle cure dell’uomo è un golpe mancato, una rivoluzione fallita.
Non questa volta, non in questa #mostra. Nel giardino disegnato da #francescosimeti non c’è posto per le rose: su questo campo di battaglia vincono piuttosto l’amaranto e l’ortica, la bardana e la morella. Lontana è la vagheggiata utopia Occidentale di spazi verdi ammansiti e sempre in fiore, dove gli insetti non mordono e le foglie non pungono. Il paesaggio immaginato da Simeti non segue la rassicurante ripetitività delle aiuole, l’ordine gerarchico degli orti botanici, il rigore geometrico dei campi arati: l’ispirazione non viene dagli idilli floreali di Monet ma piuttosto dalle terre paludose, dai prati incolti e dai terreni trascurati dall’uomo dipinti da Charles Burchfield.
Le piante di Simeti crescono sui plinti, sbucano come lame dal cemento, si arrampicano sui muri fino a ricoprire pareti intere. La loro vitalità, irruenza e autonomia è celebrata; eppure allo stesso tempo appare negata: la materia di cui sono fatte è inorganica, la loro forma scolpita da quelle stesse mani che sono solite temere, quelle degli uomini. In questa palude-giardino, dove anche la bruma è un manufatto umano, la fotosintesi ha lasciato il posto alla fusione a cera persa, alla cottura ceramica. Il confine tra natura e cultura evapora come nebbia, tutto è selvatico e tutto è artigianale.
Ecco allora la prima intuizione: questi fiori di bronzo, queste foglie di argilla, questi arbusti di tela materializzano l’impossibilità di immaginare la natura selvaggia al netto della natura umana: dalla riduzione della biodiversità al mutamento del clima, l’ecosistema è già di per sè un prodotto antropico. Una forma di giardinaggio è ormai ritenuta inevitabile anche nelle oasi e nelle riserve, in quei luoghi che vorremmo preservare a monumenti della nostra assenza. Simeti tuttavia non si limita a indicarci questo paradosso ma, scolpendo le sue erbacce come alabarde, elmi, scudi, ci pone davanti a una seconda verità:
per quanto siamo convinti che la sopravvivenza della natura dipenda esclusivamente da noi, la natura ha dimostrato di essere in grado di difendersi bene anche da sola. Per ogni strattone che l’uomo ha dato alla biosfera, le piante hanno sempre risposto affilando le armi, facendosi più agili e versatili, attrezzandosi per meglio resistere al nostro impatto. Cosa sono le infestanti se non la dimostrazione empirica della capacità degli organismi vegetali di sopravviverci? Che l’uomo possa adattarsi ai cambiamenti determinati dalle sue stesse azioni è invece ancora tutto da dimostrare. E dunque, chi è più fragile e chi è più disarmato— sembra chiederci Simeti—chi ha più bisogno di essere difeso: noi o loro?

FRANCESCO SIMETI
 Armed, Barbed and Halberd-Shaped A cura di Nicola Ricciardi

FRANCESCA MININI VIA MASSIMIANO 25 20134 #milano T +39 02 26924671 INFO@FRANCESCAMININI.IT WWW.FRANCESCAMININI.IT

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