Ci sono coloro, come Gio Ponti o Nanda Vigo, che non distinguono tra architettura e design e spaziano con fluidità tra registri differenti. C’é chi, come Carlo Scarpa, concepisce e utilizza il tempo come materia malleabile. Ci sono poi i progetti sovversivi di Alessandro Mendini e Gae Aulenti e i divani performativi di Cini Boeri, che sfidano il corpo e la sua presenza in pubblico. Quando Ettore Sottsass iniziò a progettare macchinari, si rese conto che gli oggetti di uso quotidiano, appoggiati uno accanto all’altro o vicino alle persone, possono influenzare non solo le condizioni fisiche del fruitore, ma anche le emozioni. Sono in grado di toccare i nervi, il sangue, i muscoli, gli occhi e l’umore di chi li usa. Il design, soggetto alle leggi della domanda e dell’offerta, è spesso uno specchio non solo della rivoluzione estetica, ma anche dell'evoluzione sociale. Un progetto carico di ideologia politica. Immaginazione, classe e socialismo in libera espressione. E poi, ci fu il Postmodernismo a cooptare l’attivismo e ad abbracciare il capitalismo. Vogliamo appropriarci di questa eredità come fosse parte di un DNA nascosto, un impulso subconscio che ci è apparso una volta in sogno e non siamo ancora stati pronti ad esplorare.
Gli artisti presenti nella mostra impiegano architettura e design, prodotti, elementi decorativi, oggetti domestici e funzionali come riferimenti nel loro lavoro: nodi immaginari che aprono a narrazioni più ampie e a riflessioni sulla contemporaneità. Portando le caratteristiche spaziali e fisiche a un punto di astrazione e, al contempo, riflettendo su figure storiche e approcci alla funzionalità; emergono tematiche come il consumismo, il desiderio, la classe e il potere. Il capitalismo è messo in discussione attraverso la citazione di oggetti e ambienti, ricercato e deriso per mezzo della rappresentazione dei meccanismi del desiderio. Prendendo #milano e la sua storia di sperimentazione creativa radicata nell'industria come punti di osservazione, gli artisti mirano a riconfigurare il presente per mezzo di citazioni dirette e dialogo con il passato.
Attilia Fattori Franchini Curatrice indipendente e critica, basata tra Londra e Vienna. Cofondatrice della piattaforma nonprofit Opening Times, contribuisce su testate internazionali come Mousse, CURA e Flash Art International. È curatrice per il BMW Open Work di Frieze Art fair a Londra; Curva Blu, progetto di residenza a Favignana; la sezione Emergent di miart, #milano e sta attualmente progettando mostre a #milano e Napoli. Tra i suoi progetti recenti: Falling Awake, programmazione cinematografica per Vienna Contemporary (2019); il #061 Premio Termoli (2019); Could you visit me in dreams? come parte di curated_by 2018, Vienna; Red Lake al Point Centre for Contemporary Art, Nicosia (2018); e ARS17+ a Kiasma, Museum, Helsinki (2017). Tra i suoi progetti precedenti: Céu Torto, Boatos Fine Arts, San Paolo (2017); Morning uber, evening oscillators, Seventeen, Londra (2016); Europa and the Bull a LambdaLambdaLambda, Pristina (2016); Kuvan Kevät, Kuvat Academy of Fine Arts, Helsinki (2015); Bold Tendencies, Londra (2015); e HAND, Barbican Centre, Londra (2013).
hyphen PROJECTS è un progetto nato da una forte necessità di esplorare il ruolo del curatore.
La curatela è diventata una pratica essenziale nel mondo artistico contemporaneo. In un sistema dominato da un mercato spesso rischioso e imprevedibile; il ruolo tradizionale di gallerie, collezionisti e critici d’arte è cambiato radicalmente, rivelando il bisogno di nuove figure professionali come gli art advisor e i curatori. Se gli art advisor si occupano del lato commerciale del mercato contemporaneo, i curatori indipendenti sembrano essersi fatti carico dell’aspetto più prettamente intellettuale e d’avanguardia della #ricerca, mantenendo una posizione autonoma all’interno del sistema dell’arte.
Mentre la #ricerca estetica e poetica fatica a prosperare all’interno delle dinamiche restrittive del mercato artistico, è nelle mani di curatori indipendenti che l’indagine più radicale e filosoficamente avanzata ha dimostrato di prosperare. Per questo #hyphenprojects è uno progetto che non intende presentare un calendario annuale basato su una rosa di artisti, bensì una programmazione completamente curator-based, dissociandosi dal tradizionale sistema delle gallerie.
hyphen PROJECTS invita ogni curatore a trascorrere una residenza di due settimane a #milano e a condurre una #ricerca in loco su artisti basati o legati alla città. Ogni mostra è quindi il risultato della relazione unica nata dal dialogo tra un determinato curatore e #milano.
hyphenPROJECTSintende inoltre essere un link tra i curatori che fanno parte della programmazione. Per la durata di un anno, ogni curatore è inviato a relazionarsi e dialogare con gli altri curatori, innescando una dinamica coreutica raramente applicata al ruolo curatoriale. #hyphenprojects si propone di creare un legame tra questi curatori, nella speranza di dare vita a stimolanti relazioni che vadano oltre il progetto stesso.
hyphen PROJECTS è uno spazio in cui le individualità, pur mantenendo la propria singolare natura, possono essere connesse tra loro e, allo stesso tempo, a una data città; creando momenti costantemente nuovi di dialogo e significato, in un’articolazione che ricorda quella dell’hyphenation.
hyphen è una residenza per curatori della durata di due settimane. Ogni curatore è incoraggiato a relazionarsi con una determinata città. hyphen è anche un progetto di un anno, composto da cinque mostre. Ogni mostra è il risultato della residenza di ciascun curatore, concepita in dialogo con i restanti quattro.
hyphen non è una galleria. Non ha una rosa di artisti e non dipende dalle dinamiche usuali della galleria.
hyphen può essere replicato in qualsiasi altra città. Il progetto ha scelto #milano come prima base, per la durata di un anno.
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