Giunto al sesto appuntamento, prosegue il programma espositivo "MY30YEARS – Coherency in Diversity" che il critico Lóránd Hegyi ha ideato e curato per la #galleriafumagalli con l'obiettivo di celebrare i 30 anni di carriera di Annamaria Maggi alla guida della galleria, nonché stimolare nuove letture dei paradigmi dell'arte contemporanea alla luce di inediti confronti tra dodici artisti seguiti o rappresentati dalla galleria.
"Questioning the Functionality", attraverso l'esposizione congiunta delle opere di Mattia Bosco (Milano, 1976), Chiara Lecca (Modigliana, 1977) e Dennis Oppenheim (Electric City, Washington, 1938 - New York, 2011), presenta un duplice quesito. In primis se esista una reale funzionalità dell'opera d'arte, o se sia soltanto frutto della suggestione e del paragone con altri oggetti; in secondo luogo, l'interrogativo cade sulle singole opere in #mostra, sulla loro specifica funzionalità e come questa, se vi è, si concretizzi.
Se Mattia Bosco e Chiara Lecca presentano opere dai forti effetti sensuali che paiono sfruttare al massimo le qualità materiche per attivare l'immaginario e la fantasia dello spettatore, le opere di Dennis Oppenheim – provenienti dal periodo in cui sperimenta Land Art e Body Art, con contaminazioni tra loro – evitano ogni tipo di spettacolarizzazione teatrale e sono il risultato di un'osservazione oggettiva del corpo umano e della sua interazione con l'ambiente circostante. L'artista si concentra sulla funzionalità del corpo, mai inteso come strumento neutro, bensì caratterizzato da una certa incontrollabilità e irregolarità date anche dagli elementi mutevoli del contesto in cui si muove. Le azioni del corpo non sono quindi strumentalizzate né oggettivate, bensì mantengono il proprio carattere spontaneo e mai meccanico.
Le opere di Chiara Lecca evocano manufatti o conformazioni architettoniche in cui elementi organici e inorganici si ibridano dando vita a forme sensuali e provocatorie. Tali opere, realizzate con materiali inaspettati come pellicce e vesciche animali trattati con tassidermia, sono esposte in maniera teatrale, quasi esibizionistico, e si manifestano come oggetti passivi ma desiderabili, da utilizzare ma senza una funzione ben definita, che quindi destabilizzano e mettono in dubbio qualsiasi potenziale funzionalità.
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